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venerdì 16 maggio 2014

Lovelace? Meglio Deep Throat.

Lovelace è uno di quei film di cui diventa spinoso parlare, perchè nonostante sia poco interessante e per nulla intelligente nel raccontare quello che racconta, porta alla nostra attenzione una vicenda esemplare che merita comunque attenzione.
Il titolo, Lovelace, rivela già moltissimo del carattere dell'operazione dei registi Robert Epstein e Jeffrey Friedman: si parla infatti interamente della vita di Linda Lovelace, la ragazza che suo malgrado diventò nel 1972 la (porno)star più famosa e chiacchierata del pianeta grazie a Deep Throat, in un'epoca in cui il genere porno poteva ancora essere cinema, girato con un minimo di inventiva e occasione di reale scandalo sociale. Deep Throat fu pellicola di rottura, x-rated legale capace di approdare nelle sale "perbene" grazie ad un'operazione di marketing molto sagace e moderna. 
Linda, invece, fu vittima del suo poco amorevole marito Chuck Trainor, in un film in cui non passa minuto senza che ci venga mostrato falso, strafatto, frignone, spregiudicato, senza morale eccetera, casomai ci fossero dubbi.
Se c'è un difetto in questo Lovelace - a parte essere di una banalità e prevedibilità mortale, anche nella forma - è quello di lasciare fuori tutto il contesto, riducendolo a cartolina bidimensionale, per puntare in modo brutale e poco elegante sulle vessazioni di Chuck ai danni di Linda.
Sacrosanto, per carità, anche perchè tutto porta al racconto della pubblicazione (a fine anni '80) del libro Ordalia, dove la Lovelace scrisse tutto quello che le era accaduto. Solo che la pellicola glissa sul fatto che comunque dopo il divorzio dal marito, recitò in altre pellicole hard. Vabbè.
Tornando al film, quando degli ottimi sceneggiatori e registi avrebbero saputo dipingere violenze fisiche e psicologiche senza didascalismi e grossonalintà, il duo Epstein e Friedman calca invece la mano esclusivamente su questo, senza peraltro riuscire ad infondere mai ritmo alla pellicola e suscitare un reale senso di partecipazione nello spettatore.
Attenzione: non ho detto che non si prova pietà per Linda, che anzi attraverso il suo libro ha ricevuto una sorta di tradiva giustizia per quanto le è accaduto, ma che questo è trasposto sullo schermo in un modo talmente anonimo e pedestre (e assolutamente scevro da ogni provocazione, si conta giusto UN topless) da sembrare uscito da una produzione della RAI.
Il paragone con Boogie Nights, film che potrebbe essergli accostato, è semplicemente improponibile. Laddove si riusciva a descrivere la miseria umana e di un microcosmo (ma c'era al timone un fuoriclasse come P.T. Anderson, appunto) con stile brillante, in Lovelace regna la pesantezza e la costante sensazione di occasione mancata.
Quando ho scritto che si parla 'interamente' di Linda Lovelace è perchè tutto il resto, semplicemente, non esiste: costumi, ambienti, personaggi secondari sono buttati in mezzo solo per fare presenza, senza alcuna dimensione umana.
Nonostante il gustoso cast di contorno (Sharon Stone, Robert Patrick, James Franco, Hank Azaria, Juno Temple, Chris Noth), lo svolgimento è insipido e nessuno riesce a tirare fuori un'interpretazione memorabile, se non la 'diva' Amanda Seyfried - cosa abbastanza scontata - e (di riflesso) Peter Sarsgaard, il cui Cuck emerge come figura sfaccettata prima ancora che negativa, forse addirittura più compiuta della "del tutto innocente innocente" protagonista.
Non aiuta poi la causa del film la melensa e insignificante colonna sonora di Peter Trask.
L'occasione era preziosa e il risultato completamente fuori fuoco.

...e adesso? Beh, puoi leggere:
- Nymphomaniac, Lars Von Trier vittima di se stesso

- Il dramma del cinefilo ai tempi dello streaming
- Noah, un film biblico un po' (tanto) fantasy

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